È difficile scrivere di certe cose. Finora non ho avuto problemi: ho lavorato su storie abbastanza lontane da me, anche se ovviamente certi protagonisti mi somigliano e le loro domande sono le mie. Certo, a volte mi è capitato di dire quello che non pensavo di poter dire, di raccontare una storia e poi scoprire di averne scritta un’altra, a mia insaputa. Una cecità a cui Freud avrebbe saputo dare un nome.
Ora però sono rimaste le cose toste, quelle già difficili da pensare e da ammettere. Figuriamoci dirle, trovare le parole giuste. Significa accettare di soffrire, di mettersi a nudo sul serio. Viene da chiedersi perché: perché fare tutto questo? Non è più solo il tempo e la fatica. È che ci vuole un’ottima motivazione per mettersi nelle mani di sconosciuti e raccontare (con dolore, perché non è uno sfogo o una liberazione) quello che avanza della propria vita, le scorie, le briciole che ti hanno insegnato a nascondere sotto il tappeto. Perché? Non si diventa ricchi, né famosi, né (con quello che racconto io) più simpatici alla gente. Probabile anzi che qualcuno che ancora ti salutava non lo faccia più. Dunque perché? Vi lascio la domanda, datevi (e datemi) una risposta.